“I sessant’anni sono l’inizio di una nuova avventura, il secondo tempo della vita” scrive il medico filosofo Giorgio Comacini nel suo saggio:-Concetti di salute e malattia fino al tempo del Coronavirus”.


A novant’anni si può vivere bene: il segreto è ritrovarsi in armonia con la memoria”

di Orlando Abiuso.

La longevita è aumentata costantemente nella storia dell’uomo: nell’antica Grecia e nell’antica Roma la vita media di un individuo si aggirava sui 25 anni-35 anni. Dopo 20 secoli, nel 1900, era arrivata a 47 anni. Poi in un solo secolo, ha raggiunto e superato gli 80 anni: la longevità di oggi è uno dei doni che la la civiltà industriale ha fatto al mondo.

“In Italia c’è una popolazione sempre più fitta di anziani che si avvia a diventare un terzo di tutta la popolazione italiana nel 2045,  e si alza come un iceberg davanti alla nostra vita, alla nostra coscienza, alla nostra responsabilità”, scrive il medico filosofo Giorgio  Cosmacini, nel suo saggio  appena pubblicato:-Concetti di salute e malattia fino al tempo del Coronavirus”, Ed. Pantarei,2020. Nell’antica Roma si era arrivati a decisioni drastiche, la vita vissuta poteva anche finire per sopravvenuti limiti di età con un tuffo nel Tevere. Ma allora 60 anni era il traguardo finale, “il tempo in cui si dismetteva la divisa militare, e cominciava la “senex”, come la chiamava il letterato dell’epoca Varrone”.

La vita media di un individuo ai tempi di Cesare era sui 30 anni, molte donne morivano per complicazioni della gravidanza, gli uomini se la giocavano con le malattie e con la guerra. Diventare vecchi nell’antichità voleva dire soprattutto essere fortunati, spiega Cosmacini. Ma nessuno dimentica Enea che porta sulle spalle il vecchio padre Anchise e tiene per mano il figlio Ascanio: tre generazioni, l’immagine della civiltà.

Oggi che gli uomini hanno una aspettativa di vita alla nascita di 84,6 anni per la donna e 79,8 per l’uomo, i sessant’anni sono l’inizio di una nuova avventura, il secondo tempo della vita, contro il quale il Covid si accanisce: ma non per questo si deve dargliela vinta, sostiene il dottor Cosmacini.

Il mito greco di “Edipo re”, in un articolo del “Corriere della sera” del 7 ottobre 2013  del sociologo Domenico De Masi.

Il sociologo Domenico De Masi: il mito greco  di “Re Edipo”,  e  “Edipo a Colono” in un articolo sul “Corriere della sera”.

Sul Corriere della sera del 7 ottobre 2013, il sociologo Domenico De Masi, scriveva che “per vivere bene nella terza età occorre riconciliarsi con la propria memoria, con la propria cerchia di parenti e amici, con il significato stesso della vita. Si può vivere bene a 90 anni, il segreto è ritrovarsi in armonia con il passato. Sofocle aveva 84 anni quando decise, per nostra fortuna, di insegnarci la strada per vivere bene la terza età. Vent’anni prima, nel pieno della maturità, aveva scritto  L’Edipo re, in cui l’eroe, venuto a conoscenza di crimini commessi per senza saperlo, si cava gli occhi e prende la via dell’esilio.

Dopo aver vagato tutta la vita, amorevolmente assistito dalle figlie Antigone e Ismene, giunge in un boschetto non lontano da Atene. E qui, vent’anni dopo, Sofocle ambienta “Edipo a Colono”,  un inno alla sua e alla nostra vecchiaia. La riflessione di una vita ha portato Edipo a concludere che non basta la responsabilità per essere in colpa. Quando uccise suo padre e sposò la madre, non conosceva la loro identità, dunque non si macchiò di nessun peccato e, accecandosi, espiò  molto più di quanto avesse dovuto. L’esperienza e la riflessione gli hanno fatto capire che la  colpa non risiede nell’azione, ma nel cuore. Il vecchio re, finalmente consapevole della sua innocenza ,è in grado di capire, e soprattutto di far capire a chi lo circonda, di quale ordine morale abbiamo bisogno vivendo in una società confusa. Per conseguire questa capacità di orientamento, ogni vecchio deve venire a patti con la propria esperienza, per quanto terribile essa sia.E’ questo il momento in cui, senza la forza che ci può venire dagli amici e dai parenti,l’auto-distruttività rischia di prevalere. Secondo l’oracolo, la terra che avrebbe accolto il corpo di Edipo sarebbe stata baciato dalla vitttoria. Edipo si appoggia al braccio caritatevole delle figlie e va a morire, serenamente, dentro le mura accoglienti di Atene.

Qui il vecchio Sofocle ci offre il viatico per la felicità. Riconciliato con se stesso, consapevole della forza miracolosa contenuta nel suo corpo e del dono che egli fa offrendo se stesso alla città amica, Edipo, che in un momento disperato si era tolto la vista, ora dona agli ateniesi la speranza di un futuro trionfante e pacificato. La tragedia termina raccontando il distacco di Edipo dalla sua riconquistata comunità: “L’ha preso con sé un messaggero degli dei; o si è aperto per lui, benignamente, senza dolore, il vuoto della terra. Se n’è andato senza gemiti, senza affanni,senza sofferenza Una cosa meravigliosa!”.

Qualche tempo fa ho ascoltato un ministro che, per giustificare la mancanza di posti di lavoro, aizzava una folla di giovani contro i vecchi, responsabili, a suo dire, di avere scialacquato le risorse proprie e dei propri figli. Credo di non avere mai assistito, nella mia vita, a un peccato più grave di quello compiuto impunemente da questo ministro privo di pìetas, che diabolicamente contrapponeva le generazioni invece di ricomporle in una collettività armonica.

In una società disorientata, dove si è smarrito il discrimine tra bene e male, bello e brutto, vivo e morto, locale e globale, nomade e stanziale, scienza e fede, solo la saggezza della vecchiaia può ripristinare questa armonia”.

(Nella mitologia greca, Edipo re regnò a Tebe, dopo aver risolto l’enigma della Sfinge, è salito al trono e si è sposato con Giacasta, non sapendo che questa era sua madre. In città scoppia una carestia, nascono animali deformi e così il re Edipo manda un messo a Delfi per chiedere come far cessare la carestia. L’oracolo risponde che la carestia sarebbe rimasta fino a quando non si fosse trovato l’uccisore di Laio, il precedente sovrano e marito defunto di Giocasta. Edipo vuole trovare l’assassino, viene chiamato , il celebre indovino tebano cieco Tiresia, che confessa che l’assassino è Edipo stesso.

A tale accuse Edipo si infuria, ma un oracolo aveva predetto che Laio sarebbe morto per mano del figlio che Giocasta portava allora in grembo e che questo figlio avrebbe sposato la propria madre Giocasta. Per questo vaticinio appena nato il figlio, Laio affidò il bambino ad un servo con l’ordine di abbandonarlo sul monte Citerone. Il servo però, salva il bambino affidandolo ad un uomo che a sua volta lo affidò al re e alla regina di Tebe che non avevano figli.

Il cerchio si chiude su Edipo che si scopre assassino del padre Laio, e si è congiunto con Giocasta, sua madre, dalla quale ha avuto quattro figli. Svelato il parricidio e l’incesto, la regina s’impicca e Edipo si acceca, poiché, pur intelligente e con gli occhi, non ha visto la verità. Il re Edipo sconvolto da questa rivelazione che fanno di lui un uomo maledetto dagli dei, perde il titolo di re di Tebe e chiede di andare in esilio.

Edipo, ormai mendico e cieco, nel suo vagabondare lontano da Tebe, accompagnato dalla figlia Antigone, arriva a Colono, un sobborgo nei pressi di Atene, in obbedienza ad una antica profezia che lì sarebbero terminati i suoi giorni. Gli abitanti della città di Atene, erano incerti se scacciare il forestiero portatore di contaminazione, si rifiutano di accoglierlo in città.

Infine il re di Atene, Perseo, accetta l’ingresso di Edipo in città. Edipo vorrebbe abbracciarlo, ma non osa avvicinare le sue mani impure. Egli sa di portare su di sé  una contaminazione anche se si rifiuta di se si rifiuta di sentirsi colpevole, perché le sue colpe dipesero dall’inesplorabile volere degli dei. Finalmente può morire in pace in un boschetto non lontano da Atena).