di Orlando Abiuso.
“Homo sum, humani nihil a me alienum” (Publio Terenzio Afro, 165 a.C.)
Anche Massimo Gramellini nel suo “caffè” del 19 novembre si è occupato di quest’altra bella storia maturata nell’animo umano in questi giorni di pandemia del coronavirus. Di un infermiere, Emanuele Moretti, trentenne originario dello Sri Lanka, raccontato anche da Berbara Gerosa sul Corriere Milano di ieri.
La bella e umana storia è ambientata su un ramo del lago di Como, all’ospedale “A.Manzoni” di Lecco, dove era in servizio l’inferniere originario dello Sri Lanka( assunto agli onori della cronaca di questi giorni) la scorsa primavera ,quando vi fu ricoverato Francesco Frigerio, 73 anni, nessuna patologia pregressa, un piccolo negozio di generi alimentari e tabacchi a Cesano Brianza. Un uomo energico, cantava nel coro della parrocchia, animava le feste del paese, che decide di non chiudere la bottega di alimentari, quando cominciò ad imperversare la pandemia da Covid-19, perché “ l’unico servizio a disposizione della comunità. Facciamo il nostro dovere e poi si vedrà” risponde alla figlia Erminia che lo sollecita a chiudere le saracinesche del negozio.
Viene attaccato dal “coronavirus”, subito ricoverato all’ospedale di Lecco, dove lo assiste l’infemiere Emanuele , che accompagna con grande umanità, le ultime ore del droghiere malato di Covid, mostrandogli ripetutamente le foto dei nipotini e scandendo i loro nomi fin quando è stato in grado di comprenderli: nel giro di 11 giorni il virus l’aveva portato alla morte!
Era stata la figlia Rosita a far penetrare nell’infermeria dell’ospedale un grande foglio bianco, sul quale aveva incollato due foto del nonno con i tre adorati nipotini, Anna, Samuele e Francesco Romano, quando i contatti col papà furono interrotti. Coloraono il foglio con cuori, arcobaleni, “ ti vogliamo bene”. Lo consegnarono all’ingresso dell’ospedale. Non sapranno più nulla di quel biglietto fino a giugno, quando trovarono il compagno di stanza di Francesco Frigerio. “Ci ha parlato di un infermiere che più volte ha mostrato a papà quel foglio, leggendogli i nomi dei nipoti mentre lentamente si spegneva” racconta la figlia Erminia, che inizia a cercare l’angelo custode di suo padre, lanciando un appello sui social.
Emanuele, che durante il tempo libero opera come vigile del fuoco volontario,rintracciato, ha detto:” Ho fatto solo il mio dovere. Ricordo bene Francesco e il suo sguardo dietro il casco Cpap: Ha capito cosa gli stavo dicendo, mi ha fatto un cenno con gli occhi, i volti dei nipoti che adorava sono stati l’ultima immagine prima di entrare in coma”.
“Nessun protocollo ospedaliero obbliga gli infermieri a comportasi come Emanuele… Non so se lo facciano per vocazione, per bonyà. O semplicemente perché quando ti trovi accanto al letto di una persona che se ne sta andando in solitudine, ti sale da dentro la voglia di aiutarla a compiere il grande salto:… Non so perché lo facciano,ma lo fanno, e per questo trovo un po’ riduttivo definirli angeli o eroi. Sono qualcosa di più. Sono esseri umani” conclude il suo “Caffè” Massimo Gramellini.
Forse la spiegazione può venire dalla citazione di una frase del commediografo africano Publio Terenzio Afro, che la usò in una sua commedia nel 165 a.C. : “Homo sum, humani nihil a me alienum puto– Sono un essere umano, niente di ciò che è umano ritengo estraneo a me”.
Complimenti, queste sono le notizie che vanno divulgate magari con questo titolo: Prima gli italiani?
L’articolo evidenzia una meravigliosa storia di solidarietà, amore per il prossimo, impegno totale nel condurre il proprio lavoro, che in questo caso è una missione; forse Emanuele non conosce la frase di Publio Terenzio Afro, ma ne ha messo in pratica il messaggio di amore universale. Grazie infinite