Tempi di pandemia: una storia commovente di altruismo umano


  di Orlando Abiuso.

In una recente intervista rilasciata dallo psichiatra Vittorino Andreoli al “Corriere di Verona” del 19 gennaio 2020, in occasione della presentazione del suo recente saggio, intitolato “Una certa età. Per una nuova idea di vecchiaia”, alla domanda:

Personalmente cosa l’ha sorpresa nella sua vecchiaia? (Lo psichiatra ha compiuto 80 anni. Vedi la puntata del precedente blog dell’11 novembre dal titolo “Quelli di una certa età…improduttivi”);

“Mi ha sorpreso la gran voglia di vivere e di essere utile , di fare felici gli altri, di aiutare. Non ho più nulla da dimostrare, posso concentrarmi con gioia sul fare del bene. In generale, da vecchi, si è meno legati a egoismi e interessi personali, perciò più capaci di aiutare il prossimo”.

E’ questa la chiave di lettura della storia commovente pubblicata sul “Corriere della Sera” di lunedi 16 novembre, dal titolo: “Dottore, ho 90 anni, mi lasci pure morire”. ( Lo curano  e guarisce)“Con la mano sollevata a fatica fino a posarsi sulla spalla del medico che sta per mettergli il casco dell’ossigeno, : ”Lasciami andare, dottore, ho 90 anni e ho fatto tutto quello che volevo nella mia vita” sussurra l’anziano novantenne al primario di riabilitazione respiratoria del Cof (Centro ortopedico fisiatrico) di Lanzo d’Intelvi (CO), che, trattenendo le lacrime nel guardarlo negli occhi, ha continuato a posizionare il casco CPAP sul paziente recalcitrante (i caschi CPAP sono sistemi di ventilazione assistita non  invasiva) e ha soffiato tutto l’ossigeno che poteva a quell’anziano affamato d’aria, ma ancora “sorridente e dignitoso”. Una storia di altruismo e di gioia, possibile solo quando si è vecchi, come ha dichiarato lo psichiatra Vittorino Andreoli,  rispondendo alla domanda sulla sua vecchia postagli nell’intervista di apertura di questo racconto.

Il primario, Giuseppe Valdo, 45 anni, un bimbo di 6 anni e un papà che è nato 8 giorni prima della nascita di quel 90enne, ha dichiarato: “Il suo sorriso e la sua dignità mi hanno stretto il cuore così forte, che mi sembrava che fossi io quello a cui mancava l’ossigeno….Io mentre gli accarezzavo la testa per fargli coraggio, ho visto mio papà e il mio adorato nonno sorridere”. Sentimenti ed emozioni identificatorie proprie della natura umana, impossibile da provare da un robot  artificiale e seppure intelligente.  Due settimane dopo, il primario ha tolto il casco al paziente 90enne, lo ha accompagnato fuori della terapia intensiva e lo ha visto tornare a camminare,” Bello come prima”. “Ci ha ringraziato così tante volte ma, la verità è che noi dobbiamo ringraziare  lui perché ci ha dato la speranza, e la voglia di continuare a lottare– ha aggiunto il primario- Noi abbiamo salvato lui, e lui ha salvato noi. Ci ha dato la forza per continuare a lottare contro il coronavirus e aiutare gli altri malati”.