Contro la pandemia del coronavirus, il parroco di Casalmaggiore (Cremona), ha sdoganato il ripristino della processione rituale, antidoto praticato già nelle pandemie di peste che colpirono l’Europa nel Medioevo.


  di Orlando Abiuso.

“ Diamo a Cesare quel che è di Cesare- spiega don Rubagotti, parroco di Casalmaggiore(Cremona-), ma anche a Dio quel che è di Dio: dunque se è giusto tenere le mascherine, il distanziamento e igienizzare le mani, rispettando le leggi dello Stato in emergenza e della Commissione di medici esperti in pandemie, è altrettanto giusto curare da cristiani la nostra spiritualità, e lottare contro la pandemia con l’arma della fede.

Da qui la volontà di una processione partecipata, dove ha sfilato anche il gonfalone del Comune, unendo mondo religioso e civile”.

Don Claudio Rubagotti già nel mese di marzo 2020 aveva esposto in duomo un crocifisso miracoloso, contro la diffusione della pandemia. “Anche la chiesa ha le sue armi”, ha spiegato così la decisione di esporre all’interno del Duomo di Santo Stefano, un crocifisso del diciassettesimo secolo, ritenuto miracoloso, per contrastare la diffusione del coronavirus.

In un precedente articolo del blog, dal titolo “Mille e non più di Mille”, abbiamo riportato il testo di una intervista al famoso storico  medioevale francese Georges Duby, sul confronto tra le epidemia scoppiate intorno all’anno Mille, e quelle manifestatesi nel terzo millennio. Riportiamo di seguito, qualche stralcio di quell’intervista:

Domanda: Oggi come ieri, il mondo sperimenta il diffondersi di terribili epidemie. Quale la realtà delle epidemie nell’anno Mille, quali le conoscenze  scientifiche sulla pandemia, come contrastavano  i contagi, quali provvedimenti di contrasto contro il flagello dell’epidemia praticavano?

Risposta: I cronisti dell’anno Mille parlano di epidemia in riferimento al “fuoco di Sant’Antonio”, una malattia di cui oggi conosciamo la causa:l’ingestione dello sclerozio della segala, presente nella farina. Interi villaggi dei Paesi nordici e della Francia furono colpiti da questa misteriosa malattia.

“Il male iniziava con una macchia nera – testimoniava  un monaco benedettino cronista medioevale–  che si estendeva rapidamente, causando un bruciore insopportabile, essiccava la pelle, faceva marcire la carne e i muscoli che si staccavano dalle parti ossee e cadevano a brandelli. Davanti a un male sconosciuto il terrore non aveva limiti. L’unica risorsa, l’unico soccorso veniva dal soprannaturale: si invocava la grazia divina, si riaprivano le tombe dei santi protettori, si facevano processioni propiziatorie.

Il nostro cronista racconta che i vescovi di Aquitania si riunirono in processione in un prateria presso Limoges, con tante reliquie dei santi e le spoglie di San Marziale, e racconta di come improvvisamente, il contagio sparì.

Nell’anno 1348 da Avignone, che era la sede di residenza del papa,  partì la pesta nera che si diffuse ovunque, a una velocità spaventosa, in Francia e in altri paesi europei. Nell’impossibilità di procedere con rigore statistico, accontentiamoci della stima, secondo la quale, durante l’estate del 1348, tra giugno e settembre, l’Europa vide  soccombere un terzo dei propri abitanti. Per farcene un’idea, consideriamo l’attuale area urbana di Parigi, con i suoi 12 milioni di abitanti: cerchiamo di immaginare se ne morissero 4 milioni in tre mesi. Al tempo della peste nera non si sapeva più dove  mettere i morti, non sapeva come seppellirli, visto che la legna non bastava più per le bare.

Come resistere?

Ci si provava in tutti i modi, ad esempio bruciando erbe aromatiche per le strade, come rimedio al vano sospetto  dei medici, che l’aria viziata contribuisse a propagare il contagio. La dinamica  delle contaminazioni e propagazione dell’infezione restava oscura: in particolare nulla si sapeva della necessità di difendersi dalle pulci, dai ratti che veicolavano l’epidemia della peste nera. Non a caso, quelli che se la cavavano con minor danno , erano coloro che vivevano negli ambienti più puliti, cioè -neanche a dirlo – i più ricchi.

Domanda:quali erano le fonti di informazione di cui  la gente disponeva in caso di epidemie?

Risposta: La gente si spostava, i commercianti erano in continuo movimento sulle strade che attraversavano i territori dei paesi europei. Si sapeva abbastanza presto di epidemie scoppiate nei paesi limitrofi. Si prendeva il solito provvedimento: si sbarravano le porte della città, si cercò di proteggere gli abitanti rinchiudendoli dentro le mura.

I giovani immaginati da Boccaccio nel “Decamerone” non fanno diversamente: mentre la peste fa strage a Firenze, alcuni ragazzi e ragazze di buona famiglia scelgono l’isolamento di una casa di campagna e aspettano, sollazzandosi, l’esaurimento dell’epidemia. Fino al secolo XIX il provvedimento chiave nella lotta contro l’epidemia continuò a consistere nella chiusura delle porte della città: evitando i forestieri, sospetti latori del contagio.

 Così come in molte altre città europee, l’insorgere e il diffondersi della peste durante il XIV e XV secolo, indussero la città di Pisa a chiedere la protezione divina attraverso manifestazioni devozionali ( traslazioni di reliquie, processioni, produzione di immagini dipinte) che coinvolsero l’intera città.