La prima campanella del maestro unico


  di Orlando Abiuso.

La mattina del primo giorno del mese di ottobre ( inizio dell’anno scolastico 1970/71), raggiunsi a bordo di una Fiat 500D color grigio topo, la cittadina di Mercato San Severino un provincia di Salerno, sede della direzione didattica indicata sul mio foglio di nomina, dove avrei ricevuto l’assegnazione della sede e della classe dal dirigente del circolo didattico.

“ Professore, esordi il direttore didattico salutandomi: a lei, che è fresco di studi pedagogici e di prima nomina, noi abbiamo assegnato una prima classe nella sede scolastica di Acquarola, poco distante da qui. Vedrà che si troverà bene, Ci faccia sapere !”.

Risalito in macchina, raggiunsi la sede staccata: ero incredulo, frastornato; sorpreso per l’appellativo di  “ professore” (ero stato promosso sul campo dal direttore didattico), preoccupato per il debutto da maestro unico, proprio in una prima classe elementare. Ero preparato da maestro di prima nomina ( mi interrogai intimamente),  a insegnare in una prima classe?  A questo compito che non è una mansione, un lavoro qualsiasi, ma richiede la disponibilità a porsi in relazione con bambini, in età evolutiva, e formare in essi una personalità Integrale?

 Ai maestri non viene mai insegnato come insegnare: per quanto preparati culturalmente possono essere, resta il fatto che ognuno deve improvvisare da solo, il proprio metodo didattico. A la faccia del Tirocinio in classe,  materia inserita nei programmi d’insegnamento dell’ultimo anno per la formazione dei maestri!

Riflettei un attimo: in una prima si può però applicare il metodo globale di Ovidio Decroly, o il metodo Montessori, e poi Dewey, Cèlestin Freinet, Jean Piaget. Ancora più indietro: i precursori della pedagogia contemporanea, Jean Jaque Rousseau (i suo fanciullo allo stato naturale è buono, la civiltà ne ha corrotto i costumi), Johann  Heinrich Pestalozzi ( l’amore alla base dell’educazione dei fanciulli).  Mi resi conto ora sul campo, che era tutta teoria appresa sui banche di scuola, non avevo esperienza di tirocinio didattico in una scuola elementare: i testi sacri non insegnano ad affrontare una prima classe di 31 bambini !

Cercai appiglio da dove cominciare: proporre un dettato in classe, avrei corretto gli errori di ortografia, avrei spiegato l’uso dell’ “h” e del verbo essere ed avere…accidenti! Mi ricordai che i miei alunni erano “primini”, erano analfabeti, non sapevano ancora ne’ leggere ne’ scrivere, per poter fare un dettato!

Quando entrai in classe, gli occhi di 31 bambini mi piovvero addosso; ero il loro primo maestro unico! Sulla cattedra vidi il registro di classe, lo aprii: in prima pagina l’elenco scritto dei miei alunni, trentuno in tutto. Incominciai a fare l’appello per conoscere singolarmente gli alunni: cognome e nome scorrevano dalla mia bocca lentamente, mentre approfondivo notizie personali degli alunni: finito l’appello,  un solo alunno di nome Giuseppe non rispondeva alla chiamata. Supposi che fosse assente e li contai  uno ad uno: erano trentuno, quanti elencati nel registro. Dedussi che l’alunno Giuseppe non era quindi assente: era in classe, non rispondeva all’appello.

Rifeci l’appello lentamente, chiedendo ai chiamati di rimanere in piedi, arrivando  ad appellare l’alunno di nome Giuseppe, senza però ottenere alcuna risposta. Alterai allora il tono di voce, minacciando di abolire per punizione l’intervallo e l’uscita per i gabinetti, se  non fosse saltato fuori chi era Giuseppe, e stetti ad aspettare.

 Finalmente un alunno si alzò in piedi, e indicò con la mano  un compagno che aveva il volto appoggiato sul banco,  nascosto tra le braccia, esclamando:” Prufessò, è chillù llà !”. Tra le lacrime l’alunno indicato con la mano dal compagno, negava di chiamarsi Giuseppe, mentre i compagni in coro insistevano che Giuseppe era lui.

Mentre si asciugava le lacrime, con tono piagnucoloso, l’alunno esclamò: “ Io nun mè chiamo Giuseppe, io mè chiamo Puppino!” Aveva ragione lui: in famiglia sin da piccolo  lo avevano sempre chiamato ”Puppino”; così i  compagni di gioco; “Puppino” non si riconosceva nel nome anagrafico “Giuseppe” assegnatogli nel registro di classe.

L’episodio fu illuminante  per me, maestro alle prime armi: compresi quanto fosse determinante la provenienza di un bambino dal suo ambiente socio-famigliare, quale peso avesse sul futuro scolastico e nella sua vita.

Gli alunni in prima classe non partono tutti uguali; il loro bagaglio culturale di partenza è legato alla condizione sociale della famiglia di provenienza, che sarà denominatore del futuro successo o insuccesso scolastico dello stesso.

Alla scuola  è demandato il compito di fargli acquistare la identità di Giuseppe, i diritti civili, l’educazione come formazione integrale, la promozione sociale di cittadino.