
di Orlando Abiuso – 5 puntata
“Dopo i cinque, sei anni il bambino diventa capace di maggior attenzione, di una osservazione più precisa della realtà e dispone di un linguaggio più ricco”- scrive la pedagogista Anna Oliverio Ferraris nel suo “Il significato del disegno infantile”, Ed. Boringhieri, “che per la grande varietà dei termini a disposizione, gli facilita la percezione delle differenze. Fino ad ora il bambino non ha il “senso della proporzioni”: può disegnare suo padre più alto di un albero,o un fiore più grosso di una casa perché i suoi schemi di riferimento non sono gli stessi dell’adulto e le proporzioni che adotta hanno un significato affettivo. Il bambino enfatizza ciò che per lui è importante e minimizza o tralascia il resto.
Intanto per parecchi anni ancora, il fanciullo disegna non quello che vede, ma quello che sa delle cose.
Il suo cammino per arrivare alla integrale figura umana completa di tutte le sue parti e di abiti, continuerà per tutti gli anni della scuola elementare, nel corso dei quali ”a un certo punto e a una età variabile secondo gli individui,il fanciullo si rende conto di certe incongruenze delle sue rappresentazioni… e gradualmente rinuncia a rappresentare ciò che sa a vantaggio di ciò che vede, entra nella fase ormai nota a tutti gli studiosi dell’infanzia, sotto il nome di “realismo visivo” in contrapposizione al “realismo intellettuale” dell’età precedente( Luquet,1969).
Tra i dieci e i quattordici anni il ragazzo condivide questo modo d’espressione perfezionando la propria tecnica grafica e il disegno infantile e le sue originalità, si avviano così alla fine.
Da quel momento in poi cesserà di essere il riflesso dello sviluppo psicoevolutivo dell’infanzia, e rivelerà quasi esclusivamente il grado di acquisizione della tecnica”.