“Spingendo la notte più in là”: il X agosto di Mario Calabresi* di Orlando Abiuso


Se il 10 agosto 1867, giorno di San Lorenzo, segnò il destino esistenziale del poeta romagnolo Giovanni Pascoli (il padre Ruggero Pascoli venne da un colpo di fucile sparatogli a tradimento da dietro un cespuglio, mentre tornava dal mercato di Cesena su un calesse trainato da una storna); la mattina del 17 luglio 1972, giorno di San Pasquale Baylon, segnò il momento di un naufragio esistenziale per Mario Calabresi, di Repubblica ( contro il padre Luigi Calabresi, commissario di Polizia a Milano, furono sparati due colpi di pistola , mentre apriva la portiera della Cinquecento blu parcheggiata sotto la sua abitazione in Via Cherubini, uccidendolo).La drammatica e violenta morte del genitore-capofamiglia ha stravolto la navigazione e la rotta della barca famigliare di entrambe le famiglie: quella di Pascoli e quella di Calabresi( La moglie dal commissario ucciso, Gemma Capra, era incinta di un terzo bambino, Mario il primogenito aveva due anni e mezzo circa, Paolo, il fratellino più piccolo), inghiottendole in una notte buia, in un tunnel tenebroso. Con il delitto Calabresi si aprirono le porte alla inquietante notte della Repubblica, agli anni di piombo della passata storia italiana. Oggi giornalista ed inviato da New York di Repubblica, l’orfano Mario Calabresi è cresciuto, riconquistando il mordente di vivere e di scrivere un libro autobiografico-“Spingendo la notte più in là”- Mondadori, 2007, euro 14,50, dove ricostruisce la storia famigliare, a partire dalla mattina dell’agguato mortale al padre.

Scrive a pag. 84 del libro: …”Ho sempre paragonato ciò che ci è successo ad un naufragio… all’improvviso si perde tutto, ci si ritrova sbalzati nell’acqua scura e profonda. Una tragedia famigliare che segnerà l’esistenza di quella nidiata di bambini, piccoli implumi e indifesi. Riecheggiano prepotenti gli echi dei versi pascoliani della “rondine che tornava al tetto, l’uccisero: cadde tra spini: ella aveva nel becco un insetto: la cena dei suoi rondinini… il suo nido è nell’ombra, che attende, che pigola sempre più piano” (X agosto). E’ il trauma, lo smarrimento seguito alla morte del padre: si ripresentano violenti e drammatici (come racconta il giornalista a pag:62) “La sensazione di un naufragio che per noi ha un nome nel film “Bamby” di
W. Disney che racconta la storia di un cerbiatto dalla coda bianca… …quando al cinema andammo noi, a metà degli ani settanta, successe il disastro.
Eravamo al cinema “Gloria” in corso Vercelli, e la storia ci piaceva, finchè i cacciatori non uccisero la madre di Bamby. Fu una cosa improvvisa e inaspettata: cominciammo a piangere anche noi e la sensazione di smarrimento fu totale. Alla fine del film aspettammo che tutti fossero usciti prima di alzarci, ci vergognavamo e per anni non ne abbiamo mai parlato”. Fluiscono nel racconto autobiografico ricordi, riflessioni nella memoria nel corso degli anni portandosi dentro il segno e l’eredità della tragedia famigliare: “mi ricordo i pomeriggi passati al cimitero, a Musocco, nella periferia nord di Milano… mamma con la testa sulla scrivania che piange senza sosta, era impossibile consolarla… un percorso che per molti si trasforma in una sofferenza senza fina, tanto da sospingere alla fuga o alla rimozione… si può rimanere alla deriva su un’isola deserta e scegliere di restarci… rassegnandosi ad una carriera da vittima. O saltarne fuori sospinti dalla forza della “resilienza”,(cosi chiamata dallo psicoterapeuta francese Boris Cyrulink nel libro “ I brutti anatroccoli”, Frassinelli, 2002), quella scintilla d’amore che si stabilisce in “un bambino che può diventare resiliente, cioè in grado di saltarne fuori come suggerisce l’origine latina del termine, solo se si è salvata la sua primissima infanzia, quella anteriore alla capacità di parlare. Se nei mesi che vanno da 0 a 12 anni circa c’è stato un rapporto felice con la madre, un giusto “attaccamento” affettivo, più tardi,da qui, da quel primordiale ricordo d’amore, potrà scoccare la scintilla per la risalita. Semprechè il bambino, o ex bambino ferito, incontri un o più “tutori di resilienza”, un genitore adottivo, un adulto amico che gli dia una mano a crescere. E gli offra la possibilità di raccontare e raccontarsi quell’antica tragedia così da storicizzarla nella propria biografia e non lasciarla agire, dall’ombra della rimozione, come un destino. E’ essenziale che questa rivisitazione della ferita interiore avvenga sotto lo sguardo dell’altro o di un intero contesto sociale, sottolinea e ripete il terapeuta francese, richiamando analoghe affermazioni di Anna Freud [Da recensione di Serena Zoli sul Corriere della Sera, al libro i “brutti anatroccoli” di Boris Cyrulink.
E il genitore adottivo degli orfani Calabresi è stato Tonino Milite, il pittore di sinistra del capitolo X del libro. “Noi dobbiamo ringraziare mia madre che ebbe il coraggio di farsi aiutare da Tonino”. Che è anche l’autore della raccolta di poesie ‘L’intermittenza del giallo”, dalla quale sono tratti i versi che danno il titolo al libro. L’uomo che ha fatto da padre a Paolo,Luigi e Mario Calabresi. Una risalita non facile, quella dei brutti anatroccoli che diventano cigni, ma possibile. Che è riuscita al poeta romagnolo (Myricae, Canti di Castelvecchio, ecc.) e al giornalista di Repubblica con questo libro ed altri che seguiranno.

* Da: XX REGIONE on line del 7 maggio 2009 giornale telematico del Molise
Da: Nuvole in rete 24 ottobre 2007 giornale telematico del Molise